MARVELIT presenta
KNIGHTS TEAM 7
Episodio 31 – Dialoghi fra un Dio ed
il Suo Terapeuta
SIGMUND
FREUD
Psichiatra
Così recitava la
scritta in nero sul vetro smerigliato di una porta di legno antico, con una
maniglia a pomolo d’ottone.
Tipico,
pensò la creatura in piedi davanti alla porta, una mano artigliata coperta di
bianca pelliccia già posata sulla maniglia. Assolutamente
tipico!
“Avanti,” disse una voce maschile, con un marcato quanto stereotipo
accento germanico.
La muscolosa
creatura lupina, rivestita da un’antica armatura di scaglie smeraldo e oro,
girò la manopola ed aprì la porta.
Lo studio era
piccolo, con una sola finestra pure smerigliata. Le tapparelle erano abbassate,
mantenendolo in una penombra rotta solo dalla lampada ad
incandescenza della scrivania vicina. Lo studio del Dottor Freud odorava di vecchi
libri, di inchiostro, delle tracce lasciate da chissà
quanti pazienti mescolati alla pelle del divano del terapeuta, e di un lieve
sentore di muffa dal soffitto.
Ma non era il Dottor Sigmund Freud, quello seduto sulla
classica poltrona il cui schienale era rivolo al divano. Piuttosto, era un
omino sui sessant’anni, i capelli corti neri spruzzati generosamente di grigio,
due bei baffi nelle stesse condizioni cromatiche e un paio di occhiali dalla
montatura metallica. Indossava una T-shirt gialla con su
un’immagine stilizzata della maschera dell’Uomo Ragno. Quando il Dio-lupo
entrò, l’omino spostò per un attimo lo sguardo dal taccuino su cui stava
scrivendo fittamente, e gli rivolse un sorriso smagliante. “Excelsior!” disse.
“Prego, mio caro, siediti lì… Prima, però, spogliati.”
Stargod guardò con
curiosità quell’individuo. Gli era stranamente familiare… “Uh, sono nudo, senza
l’armatura.”
Il dottore fece
spallucce. “Lo scopo di questa seduta è
di metterti a nudo, figliolo. Ora,
togliti pure quella roba di dosso.”
Stargod obbedì. Un
pezzo alla volta, la sua protezione cadde con una serie di clangori metallici.
“Meglio?” chiese la divinità, alla fine.
“Quasi.” Il dottore
indicò con la biro la gemma splendente di una luce sanguigna fissata
permanentemente alla gola del licantropo. “La lampo. Tirala.”
“La
lampo..?” Quella era
L’omino scosse la
testa, schioccando le labbra. “Stai contraddicendo il tuo
dottore, giovanotto? La lampo, per favore. Via tutto il
travestimento.”
Stargod decise che
in fondo poteva permettersi di obbedire. Quella era una sessione di terapia,
non un combattimento per la propria vita, giusto?
Il lupo afferrò
delicatamente la gemma, trovandola come sempre calda al contatto, e tirò
all’ingiù. La sua pelliccia si aprì con un sibilo delicato fino all’inguine,
rivelando l’uomo sottostante.
John
Jameson si tolse la pelliccia, lasciandola cadere a terra, rimanendo in boxer
davanti al suo dottore, che commentò, “Hai Vil
Coyote sui tuoi boxer? Be’,
questo spiegherebbe qualcosa. Ad ogni modo, sul divano, giovanotto. Lo sai come funziona questa terapia.”
“Freudiana, già.”
John si sdraiò facendo in modo da guardare il soffitto e mai lo psichiatra.
“Nome?”
“John.”
“Hai anche un
cognome, mi pare.”
“Jameson.”
Il dottore riprese
a scrivere. “Hm, sembra che tu abbia mangiato un bel limone prima di dirlo.”
“Non…ne vado
fiero.”
“Perché?”
Terapia freudiana:
il minimo delle domande, lasciare che fosse il paziente a scavare nel lercio
delle sue memorie, spingerlo ad affrontare spontaneamente i suoi problemi…
John sospirò. “Odio
mio padre. Odio mia madre. Odio me stesso.”
“Cominciamo dalla
madre.”
“Mi ha lasciato. Mi
ha abbandonato, prometteva di volermi bene per sempre, e se ne
è andata. Un sacco di supereroi e di loro amici ritornano
dall’oltretomba in continuazione, ormai sulle lapidi di alcuni ci scrivono
‘ritornerà’. Mia madre non si è mai fatta vedere, neppure per un’apparizione.”
“Ti senti solo,
senza di lei?”
“Mi sento tradito.”
“E tuo padre?”
“Lui non vuole un
figlio. Vuole l’eroe americano, il nuovo Capitan America,
un politico da insediare alla presidenza, magari. Se avesse potuto clonarmi in
batteria per sostituirmi con un modello migliore, lo avrebbe fatto.”
“Ne sei proprio
sicuro?”
“Non è mai venuto a
trovarmi in ospedale. Mai. Salvo quando mi fu erroneamente diagnosticato un
cancro, e mi fece ibernare. Da quando sono diventato
l’Uomo-Lupo, poi, non ha fatto altro che evitarmi attivamente. Ero diventato un
mostro, non potevo rovinare la sua reputazione.”
“Non ti ha offerto
un lavoro, una volta, al Daily Bugle?”
“Un rigurgito di
coscienza. La cosa non si ripeté.”
“Perché tu non volesti ripeterla.”
John sospirò. “Vero. Ma perché sto parlando della mia famiglia?”
“Hai cominciato tu,
lo sai.”
“Io voglio parlare
di me.”
“Hai detto che odi
te stesso.”
“Odio trovarmi
così…diviso…” Sollevò una della mani che teneva
incrociate sul petto, e la vide nuovamente coperta della familiare pelliccia.
“Odio non sapere chi sono.”
“Ma tu lo sai, chi
sei,” disse una nuova voce.
C’era una nuova
presenza, nella stanza.
Stargod.
Solo che questo uomo-lupo era…diverso. Era più maturo, più potente.
Fissava John con una solennità che solo una lunga, lunga
esistenza poteva avergli donato. “Tu sai chi sei, John Jameson.”
“Tu sei il mio
predecessore?”
“Tu sai chi sei,” disse la creatura per la terza volta.
John vide che il
terapeuta era scomparso. Tornò a guardare la creatura. “Io non so chi sono.”
“Hai solo paura di
accettarlo.”
“Accettare di
essere un dio? Un assassino? Un
leader carismatico? Io non sono tutte
queste cose!”
“Perché hai
accettato il manto di Stargod, allora? Lo sai che potevi rifiutare. Le occasioni
non ti sono mancate.”
“Forse perché sono
stato influenzato. Heh. A volte, non sono neppure sicuro dei miei stessi
pensieri.”
“Ma
sei ancora qui. E puoi andartene quando vuoi.” Indicò la pelliccia e l’armatura
che giacevano a terra. “Devi solo lasciarli lì. Nessuno ti punirà, per questo.”
John aveva voglia
di scattare in piedi, mettersi a urlare… Invece, rimase dov’era, le mani giunte
al petto, a fissare il soffitto. “Ho assunto una
responsabilità. Non potrei andarmene di punto in bianco, lo sai.”
“Potresti farlo.
L’universo esiste da molto prima di te, John Jameson, e continuerà ad esistere
molto dopo di te. Pensi di essere così importante?
O stai cercando di provare qualcosa a te stesso? E’ solo per farti meno schifo,
che ora combatti una guerra contro un Dio Antico?”
“No. Lo faccio per
proteggere Altroregno.”
“Un mondo che hai abbandonato ben due volte, e con una certa facilità.”
“Avevo paura.”
“Già sapevi cosa ti
aspettava, dunque?”
“Sì. E’ una
responsabilità…immensa. Ho esitato ogni volta, no…” John tirò
un profondo respiro. “Sono fuggito
in tutta fretta ogni volta perché ero sopraffatto da un simile dovere. Io che
non sono riuscito nemmeno a tenermi stretta la mia carriera di pilota, io che
non sono riuscito neppure a stare dietro alle ridicole aspettative
di mio padre… Io essere il Dio unico
incarnato di un mondo sconosciuto?”
“Cosa ti ha spinto
ad accettare, adesso? Sembri molto a più a tuo agio.”
“Ho
accettato perché questo cerino è capitato a me. Sono una marionetta di una potenza superiore? Arbitro
del mio destino? Non lo so. Ma so che quella pietra è
legata a me e che ci sono delle vite che dipendono da me. E che se anche cedessi
“E non mi sento a
mio agio, per la cronaca. Ma come potrei svolgere il mio compito se continuassi
a farmi ossessionare dallo spettro dell’inadeguatezza.”
“Curioso,” disse l’antico Stargod, continuando a scribacchiare. “Di
solito, si invoca lo spettro del fallimento.”
John scosse
leggermente la testa. “Il fallimento è una certezza solo se
fai in modo che diventi tale. Ho visto i Vendicatori in azione, li ho
visti combattere contro nemici a loro nettamente superiori e vincere. A volte
hanno fallito, ma possono dire di avere sempre dato il massimo. E così tanta
altra brava gente senza superpoteri che combatte contro difficoltà di ogni
genere…”
“Ma
tu sei un dio.”
“Sono un dio.
L’Unico Dio di Altroregno. Ho potere di vita e di morte.
Posso estinguere un’intera civiltà con un gesto della mano, decidere dei
destini di innumerevoli innocenti o colpevoli, e sai
cosa è peggio?”
“Non riuscirei ad immaginarlo,” disse l’Uomo Ragno, ora seduto sulla sedia
del terapeuta. “Ma con me puoi aprirti, lo sai. Se non
me ne intendo io di senso di
responsabilità…”
“Non sapere chi è innocente o colpevole. A parte gli
uomini-serpente, posso essere sicuro che i seguaci residenti di Mur-Argoran
siano irrimediabilmente malvagi?”
“Per questo sono
ancora lì, ad uccidere indiscriminatamente ogni tuo alleato
od amico su cui mettono le mani?”
John aggrottò la
fronte. “Non confondermi le idee. Sto combattendo una
guerra, non posso esitare. Ma non posso neppure pensare ad
una politica di sterminio!”
“Lo scopo della
guerra non è lo sterminio, figliolo,” disse Capitan
America.
John sospirò. “Almeno avvertitemi, prima di darvi il cambio. E comunque, sì, lo sapevo questo.”
“Perché ti senti
inadeguato?”
“Un mio sbaglio, un
semplice errore di valutazione, può portarmi a prendere una decisione
catastrofica. Ho paura di dare per scontato il mio ruolo, e questo sarebbe
anche peggio. Ma devo sempre mostrarmi sicuro di me, davanti a coloro che credono in me, non posso presentarmi con le
orecchie basse e chiedere loro scusa per i miei eventuali errori. Io non sono
un’entità immaginaria o metaforica. Sono il loro Dio, devo guidarli quando me
lo chiedono, e fare in modo che non dipendano da me. Mi muovo su un confine
sottile ogni giorno. E non posso mostrare paura.”
“Con me puoi,” disse una voce familiare, calda come il sole stesso.
John non ebbe
bisogno certo di voltare la testa per vedere l’enorme figura del drago azzurro
che riempiva la stanza, il cavalcavento, colui che
riempiva il suo cuore di un amore indescrivibile nella sua potenza. “Max.”
“John, perché non
hai paura di mostrarti debole con me?”
“Perché mi conosci.
Mi conosci, ed io conosco te, come nessun altro
potrebbe. Le nostre anime ed i nostri pensieri sono
uno. So di potermi fidare di te, quando mi confido con te, perché so che
entrambi siamo assolutamente sinceri l’uno con
l’altro.”
“Quindi, degli
altri non ti fidi,” disse Kraven, procurandogli
stavolta un mezzo choc.
“Mi fido dei miei
amici e dei miei alleati. Cavolo, ho fiducia persino nel Principe Ssylak dei
Tok, e quello pensa agli esseri umani come stuzzichini!”
“Ma
con loro non puoi mostrare i tuoi timori.”
“Loro hanno bisogno
del mio supporto e della mia guida.”
“Per adesso.”
“Cosa
vuoi dire, cacciatore?”
“Dimmelo tu. Sei tu
il paziente.”
John digrignò i
denti. “Posso vivere la mia vita senza di loro. Non vivo in funzione della loro
adorazione.”
“Sono…scartabili?”
“No! Sono esseri
viventi, liberi ed indipendenti!”
“Per questo li hai
abbandonati, per due volte,” disse di nuovo l’antico
Stargod. Adesso, sul muso inforcava un paio di occhialini pience-nez. “Non
hanno bisogno di te, ne’ tu di loro, ma alla fine sei
tornato per essere loro di aiuto. Non ti fidi di loro…o di te
stesso?”
John si grattò
ripetutamente la fronte. “E’ complicato.”
“Lo so.”
“Heh,
già. Posso farti
una domanda, in merito?”
“No. Sei tu, il
paziente.”
“Ho una
responsabilità. Devo soddisfarla al massimo delle mie capacità. E senza l’amore
di quel meraviglioso drago, impazzirei. Penso che la mia vita, adesso, possa
riassumersi in questo. Il resto sono dettagli.”
“Quando si è un dio
onnipotente, anche un dettaglio assume importanza cosmica. Non ragionare da
mortale.”
“E come dovrei ragionare?” John si passò le mani lungo
il corpo nudo. “Sono un mortale, figlio di mortali,
predestinazione o no!”
“Sei un dio. Ogni
giorno è un giorno importante.”
“Non posso metterla
così. Non ce la farei.”
“Non hai appena
detto che il mio amore fa la differenza?” chiese Max.
John sospirò.
Sicuramente, solo udirlo, anche se quella non era che una proiezione del suo
tormentato inconscio, lo rasserenava come niente altro.
Dio, se aveva voglia anche solo di abbracciarlo… “La fa.
Ma per quanto tu mi tenga ancorato alla sanità
mentale, ho ancora il potere di distruggere un intero universo. E non puoi
immaginare quanto grande sia il mio terrore nel vedere una sola ferita sul tuo
corpo, non sai quante volte sia stato vicino alla follia nel vederti soffrire.”
“Sono la tua ancora
di salvezza, ma posso trascinarti a fondo.”
“No. Non tu. I
nemici, coloro che vogliono usare te per arrivare a
me.”
“Allora combatti
una guerra personale,” disse Capitan America. “Non lo
fai per coloro che dipendono da te.”
“NO!” di nuovo, John si costrinse a
rilassarsi. “Piantatela di proporvi per assolutismi.
Io combatto questa guerra per la salvezza di un mondo di cui sono responsabile,
ma ho il diritto di avere dei miei
sentimenti! Non sacrificherò la cosa più bella della mia vita a questa guerra!
Quindi, sì, Max è importante quanto l’intero Altroregno, per me.”
“A dispetto
dell’avere detto che lo avresti sacrificato, se fosse stato necessario. Eri
sincero.”
“Come darei la mia vita, se fosse necessario. Non ho preso questo
impegno per ritirarmi quando le cose si fanno difficili. Non
stavolta.”
“Fino a che punto sei disposto ad arrivare?”
Stavolta, John sorrise.
“Lo deciderò sul momento. Ogni decisione è importante,
giusto? Posso fallire in ogni dato momento. Posso fare tutto e niente, le cose
giuste e quelle sbagliate. E quando si è al mio livello di potere, non posso
farmi ossessionare dal futuro. Per quanto io sia potente, non potrò mai avere tutto sotto controllo.”
“Giusto,” disse il primo dottore, mostrando quel suo sorriso
smagliante, senza che John lo potesse vedere. “E’ l’essenza di un eroe, mio
caro. La prima cosa che devi riconoscere in questo mestiere non è la
possibilità di sbagliare: è il tuo limite. Tutti ne hanno uno. Ora tu sai quale è il tuo.”
John fece
spallucce. “Preferirei sapere anche come superarlo.”
“Oh, ma non puoi
superarlo,” disse l’antico Stargod. “Un mortale
onnipotente non può essere implicitamente così saggio, a meno di trascendere la
propria mortalità.”
“E’
per questo che sei morto?”
“Preferisco il
termine ‘evoluto’. E’ inevitabile: dopo tanto tempo, il nostro spirito tende ad un altro piano di esistenza, il guscio della carne e del
mondo non è più…appagante.”
“Dovrò lasciarti,
quindi? Alla fine, dovrò perderti?”
Sentì una mano
artigliata, coperta di morbide scaglie, accarezzargli la fronte.
“Mai,” disse Max. “Se lo vorrai, ascenderò con te, continueremo
ad essere una sola cosa per l’eternità ed oltre.”
“Non potrei
immaginare un’esistenza senza di te. Come sarà?”
“Le parole non
possono descriverla,” disse l’antico Stargod. “Non è ne’ bella ne’ brutta. E’…diversa.”
“Potremmo ascendere
ad essa in qualunque momento?”
Il lupo si tolse
gli occhialini dal naso e ci soffiò sopra, prima di pulirli passandoli sul pelo
del petto. Li contemplò, e nelle lenti apparvero campi stellati. “Sì, ma non lo
farete subito, come non lo feci io e coloro che ci
precedettero.”
“Perché?”
Il lupo sorrise, e
si rimise gli occhialini. “Il lavoro di un Dio non è
mai finito.
“Niente mani pigre,
eh?”
“Eggià,” disse l’Uomo Ragno. “Sapessi quante volte ho provato a ritirarmi.”
“Appariva spesso,
sui giornali.”
“Non funziona mai,
credimi sulla parola. Ma è anche vero che non mi sono
mai trovato a pensare che alla fine saranno quelli intorno a me, a morire.
Insomma, se alla fine rimani circondato da una distesa di bare, a che serve
tutto il lavoro che hai fatto?”
“Serve al futuro.”
John tornò a guardare verso il mucchio di metallo e pelliccia a terra. “A
coloro che mi seguiranno in questo ruolo. Ai discendenti di coloro che oggi
credono in Stargod, non in un supereroe di nome John Jameson.”
“Dunque
accetti la tua divinità?”
“Sono un Dio. La
mia umanità è il mio limite è la mia forza, la mia linea di confine fra il
giusto e lo sbagliato.”
“Come l’avere
ucciso quelle persone, alla taverna?” chiese Capitan America.
“So cosa avevano
fatto a quella ragazza, so da quanto tempo
perpetravano la loro violenza su di lei, e so perché. Non c’era innocenza o buona fede
nei loro pensieri. Non sono pentito di averli giustiziati. E’ mio diritto non
di americano, ma divino.”
“Spegnere una vita
è un atto irreparabile. Non spetta a nessuno—“
“A nessun mortale,” disse
John, interrompendo il suo terapeuta per la prima volta –cavolo, interrompendo Capitan America, santo cielo! “Se un
fulmine cadesse dal cielo e uccidesse i tuoi nemici, verseresti una lacrima per
loro, ma accetteresti la saggezza di un’entità superiore giunta in tuo
soccorso. Io ora sono quell’entità
superiore.”
“Ma
il tuo giudizio non è insindacabile.”
“Per questo devo
dispensarlo con cura, momento per momento. Io sono la
mia legge, ed è un peso terribile, ma non mi ci farò schiacciare.”
“Il potere assoluto
corrompe in modo assoluto.”
“Solo se nessuno ti
guida nella sua gestione. Io ho il mio amato, ed ho Antesys. Pensi forse che
accetti le sue parole come un burattino passivo? La sua è la voce del potere
stesso, e l’ascolto per imparare. Forse, fra mille o duemila anni,” ridacchiò di nuovo, “sarò abbastanza maturo da decidere
da solo. Ma per ora non mi metto a discutere con Dio perché non capisco una sua
decisione.”
“Eppure, è sfidando
gli Dei, che l’Uomo è giunto a maturare.”
“Come specie. E io non sono una specie, sono un mortale molto potente. Non
ho il diritto di arrogarmi una saggezza che ancora non possiedo.”
“Ma ne possiedi
abbastanza per decidere di vita e di morte.”
“Possiedo il ruolo per deciderlo. E dovrò ponderare
ogni decisione, in merito. Per questo leggerò ogni singola mente ed anima di coloro che dovrò giudicare, perché non ci sia
spazio per errori.”
“Potrai ancora
sbagliare.”
“Ma
potrò dire di avere dato il massimo, di avere davvero fatto il possibile. Sono
onnipotente, non onnisciente. E sono stanco di avere paura di prendere delle
decisioni.”
“Come quella di
tenerti Diablo nel gruppo?” disse
Mister Fantastic. “Permettimi di dissentire sulla ‘saggezza’ di una simile decisione.”
John adottò un tono
canzonatorio. “Incredibile cosa possa fare un cambio d’aria, eh?”
“Incredibile che
siate ancora tutti vivi, a dire il vero. Te incluso. Diablo ha una passione per
il potere e la ricchezza, l’ha coltivata ogni singolo giorno della sua secolare
prigionia e da prima di essa. Si è vantato
di avere studiato le arti arcane oscure al fianco delle più sinistre figure
della storia.”
“Cosa che per te
non dovrebbe essere un problema, visto che nella magia
non ci credi.”
“Stiamo parlando di
te.”
“Guastafeste. Ad
ogni modo, so che Diablo non rappresenta un pericolo, e lui sa che io so. Se farà la sua parte, avrà il suo regno, la sua fetta di
potere. Se vorrà essermi nemico, lo farà a suo rischio. E per quanto possa
provare a suggestionarsi per ingannarmi, ho già passato la sua mente al pettine
fin nel più profondo.”
“E lui rimane un
individuo subdolo. Ma immagino che devi fidarti del tuo giudizio.”
“Esatto. Non a caso sei a capo dei Fantastici Quattro.”
“E se ti dicessi di
mollarlo e di cercare qualcun altro?”
“Minerei la fiducia
degli altri membri del gruppo. Li metterei nella posizione di dubitare della
mia fiducia anche in loro.”
“E se uno di loro
ti tradisse?”
“È un rischio che
devo correre. Se ho ragione, gli altri cinque mi aiuteranno a difendermi.”
“Sei assolutamente
sicuro di Max.”
“Lui è l’unica
certezza della mia vita.”
Ancora una volta,
una mano scagliosa si posò sulla sua fronte. “Ti ringrazio.”
Poi, un lampo
abbacinante sgorgò dalla mano! La sorpresa di John Jameson morì insieme ad ogni suo pensiero nel momento in cui la sua mente fu
cortocircuitata da una scarica elettrica ad altissimo voltaggio.
Il grande dragone
dei cieli afferrò delicatamente la gemma scarlatta dalla gola del dio-lupo
caduto.
Nell’oscurità della
caverna dove Stargod si era ritirato a meditare insieme al suo compagno, Max,
il muso inespressivo, consegnò la gemma nella mano guantata di nero…
Di Diablo.
“Adorabile davvero,
mio fedele cucciolo,” disse l’alchimista, rimirando la
gemma. Poi fece un inchino verso Stargod. “Ti ringrazio per
avermi concesso la tua fiducia, mio caro amico. Saprò ricompensarla a
dovere. Quanto a te, dragone, fammi un ultimo piacere: appena sarò fuori da
questa caverna, ucciditi. Addio, ex alleati.”
Diablo uscì dalla
caverna, e fu accolto da una raffica di vento gelido delle cime della grande catena che divideva in due il supercontinente
di Altroregno. Inspirò a fondo, deliziato –la vita era bella,
e lui stava per diventare il signore di un mondo intero!
L’alchimista gettò
una fialetta a terra, ed essa si condensò in una nuvoletta su cui poté salire
come se fosse stata un soffice corpo solido. La nuvoletta decollò nel momento
in cui una terribile scarica elettrica lampeggiò nella caverna…